Descrizione
POSIZIONE GEOGRAFICA
Il paese è ubicato tra i 250 e i 300 metri circa nell'alta valle del Vezza. Tale località in realtà rappresenta solo la parte di abitato disposta alla confluenza dei canali di Deglio, della Capriola e Versiglia, ma nel corso dei secoli il nome è stato utilizzato, per estensione, anche a indicare l'attigua Vallinventre (o Malliventre, 260 metri circa s.l.m.) e l'Orzale (400 metri s.l.m.) con cui costituiva in passato un unico comunello.
STORIA
L'origine etimologica del paese è da ricercare nel “cardo” della castagna, a indicare una “zona ricca di cardi, caratterizzata da selve di castagno”.
Il toponimo compare per la prima volta in un estimo del XIV° secolo non datato che riguarda specificatamente la Vicaria di Pietrasanta e le Comunità che la componevano: la filza contiene, infatti, un estimo riferito alla “comunità di Cardoso”, con la descrizione di beni appartenenti a dieci “particolari” e alla comunità. In un precedente estimo datato 1377 tali nominativi risultavano comporre la “comunità di Farneta”. Proprio in quegli anni si compie il passaggio di potere tra la secolare comunità di Farneta, collocata nei boschi soprastanti e costituita da casali disseminati intorno alla chiesina di San Leonardo (520 metri s.l.m.) e il nuovo centro disposto alla confluenza dei vari canali che formavano l'alta valle del Vezza. La zona era già stata prescelta, in epoca feudale, come attesta la presenza nell'area del “Forno di Gualingo” (prima metà del Duecento) e l'erezione da parte dei pisani di una torre in loco “Vallivetri” (Vallinventri) nel 1281, con lo scopo di controllare l'estrazione delle sabbie silicee di quei torrenti, grazie a cui era possibile produrre vetro. In un successivo estimo del 1407 Cardoso e Farneta formavano una sola comunità. Costantino Paolicchi descrive i confini riportati in questo estimo: “Dal luogo detto Cerreto, lungo il limite territoriale di Volegno, fino al foro, quindi ascendendo fino al monte Pania, quindi discendendo fino alle Forbici, al confine con Vergemoli vicaria di Gallicano, di qui toccavano, scendendo, Campo Maggiore, Colle di Volaschio e più giù Turrita, Tofanaio e quindi Corniola a confine con Stazzema; risalivano ancora fino al monte Forato, poi andavano all'acqua Versata e fino al luogo detto Piano e giù di nuovo fino al confine con Stazzema e fino al Colle delle Fontanelle, quindi fino a Picchiaia e Senepolli e a ultimo fino al Ponte di Cardoso in prossimità del confine di Volegno”.
Tra il XIII° e il XV° secolo si svilupparono lungo i torrenti Cardoso e Maliventre varie fabbriche per la lavorazione del ferro. Nel Quattro-Cinquecento poi, si trova ampia menzione delle attività di una famiglia, i Vivaldi, lungo la valle, legate non solo alla lavorazione del ferro, ma anche all'attività molitoria (risulta infatti da un estimo che il Vivaldi possedesse un mulino). Il metallo proveniva dalle numerose miniere dello stazzemese, tra cui l'attigua Buca della Vena, già in attività alla fine del Quattrocento. La presenza di mulini presso la valle di Cardoso è documentata almeno dalla fine del Trecento. Fin dal XIV° secolo era conosciuta “la cava della pietra refrattaria per l'uso dei forni fusori”, situata in località Pietrapania nella valle del torrente Cardoso, fra l'abitato omonimo e Malinventre. Queste pietre servivano per foderare i forni nei quali si fondeva la vena del ferro. Secondo il Santini la Pietra del Cardoso veniva utilizzata fin dai tempi dei romani per la copertura dei tetti delle abitazioni e, fin dal medioevo, anche delle chiese e dei castelli dei feudatari di origine longobarda. La prima memoria storica di queste pietre emerge in un contratto del 1438, in cui Niccolao di Lorenzo del Cardoso ne vendé una partita a Filippo Cattaneo di Fivizzano. Dal Cinquecento in poi si parla sempre, in riferimento ad esse, di “pietre refrattarie o pietre da forno del Cardoso”. La Regia Magona ne fece uso fin dalla sua istituzione e Cosimo I de' Medici si interessò a valorizzarne l'escavazione e il commercio.
Nel XVI° secolo troviamo Cardoso e Malinventri unite in un corpo unico, a costituire una delle nove comunità della Vicaria di Stazzema, come attesta lo Statuto datato 12 febbraio 1558 e sottoscritto da 17 capifamiglia del paese. I confini della comunità sono i medesimi riportati dall'estimo del 1407. Nel corso del Cinquecento la comunità di Cardoso ebbe vari dissidi con quelle confinanti, tra cui in particolar modo Fornovolasco, all'epoca sotto il Ducato di Ferrara. Tali vertenze, che riguardavano l'uso dei pascoli del versante garfagnino del Forato, della Costa di Valli e della Costa Pulita, trovarono una conclusione nel lodo stipulato nel 1546 tra i rappresentanti di Ferrara e Firenze. A Maliventre, intorno al 1536, venivano censiti un mugnaio, un maestro di botte, due maestri di cerchi di botte e un fabbrichiere (ossia fabbro e fonditore). Nel 1776, con l'abolizione dei comunelli, Cardoso e Maliventre vennero incorporati nel comune di Stazzema. La piccola comunità contava allora 42 case con altrettante famiglie, per un totale di 195 abitanti, i quali allevavano 42 capi vaccini, 285 pecore, 30 capre e 6 animali neri. Si praticava inoltre l'allevamento dei bachi da seta, la cui produzione ammontava a 780 libbre di bozzoli.
Nel 1789 la Regia Magona acquistò la ferriera del Cardoso, ridotta a distendino nel 1801. Si trattava di una struttura assai modesta, composta da una stanza per il distendino, una per il carbonile e una terza isolata a uso seccatoio. Nel 1836 la struttura fu rilevata da Gazzarini e Gelli ed era ancora in attività agli inizi del Novecento. Ristrutturata da Delfo Battelli, venne adibita a pastificio nel 1922 e funzionò fino alla metà del secolo scorso. Invece l'attività dei mulini di Cardoso andò avanti nel corso del XIX° e XX° secolo: tra quelli in funzione a quell'epoca ricordiamo il Mulino de' Luconi sul canale della Capriola, il Mulin del Baldi sul canale di Farneto, il Mulino del Cinto e quello dei Santarelli, entrambi lungo la Capriola, il Mulino dei Ricci, che raccoglieva con gore in un unico bottaccio le acque del Capriola e del Farneto, il Mulino del Battelli, trasformato poi in un panificio. A Malinventre si trovavano invece il Mulino del Magnani e quello degli Ulivi.
Il paese, per la sua ubicazione, è stato soggetto da sempre a esondazioni e allagamenti durante i periodi particolarmente piovosi. L'alluvione del 19 giugno 1996 però è stato certamente un evento epocale, sia per gli effetti di distruzione sia per la quantità d'acqua rovesciatasi sulla valle in poche ore: quasi 500 millimetri. Una serie di situazioni a monte, tra cui l'incuria del bosco e dei canali posti a mezza costa, ha fatto il resto, precipitando sul paese una quantità di fango e detriti enorme, accompagnata da migliaia di tronchi, divelti o franati in pochi minuti. Le case, sotto questo diluvio, sono state completamente spazzate via, e con esse quelle povere persone (13 tra morti e dispersi) che non hanno fatto in tempo a cercare rifugio nei boschi. Alla sera ciò che restava del fondovalle era ricoperto da circa 7 metri di detriti. I soccorsi scattarono subito con slancio: la gente venne prelevata da elicotteri in parte nel tardo pomeriggio del 19 (una settantina di persone circa), in parte il giorno successivo (circa 200). Nei giorni successivi si scavò senza sosta in cerca dei morti e per rimuovere la montagna di fango che aveva invaso ogni casa. È seguita poi l'opera di ricostruzione, terminata circa 5 anni più tardi, nel 2001.
LEGGENDA DEL MONTE FORATO: S.PELLEGRINO E IL DIAVOLO
- Pellegrino viveva sull’Appennino, di fronte alle Apuane. Non aveva casa, perché dormiva nel tronco cavo di un albero. Non lavorava, perché aveva bisogno soltanto d’acqua e si nutriva di poche erbe e di qualche radice. Tutto il giorno pregava e faceva penitenza. Il Diavolo, infastidito dalla sua presenza, s’inferociva ogni volta che cantava laudi, oppure snocciolava il rosario e soprattutto quando costruiva delle enormi croci di faggio che poi andava ad innalzare qua e là per la montagna.
Il Diavolo voleva scacciare Pellegrino da quelle terre. Dapprima cercò d’impaurirlo mutandosi in un drago spaventoso, con viscide squame e narici infuocate. Il Santo neppure si mosse alla vista di quell’orribile creatura. Poi cercò di tentarlo trasformandosi in un’affascinante fanciulla, dai biondi capelli e dal seno procace. Il Santo neppure si mosse alla vista di quella meravigliosa creatura.
Il Diavolo perse allora la pazienza e decise di presentarsi di persona con tutto il suo terribile aspetto. Appena di fronte a Pellegrino gli rifilò un gran ceffone che lo fece rigirare per tre volte, prima di tramortirlo a terra. Il signore degli inferi rise tracotante dalla soddisfazione di aver impartito una sonora lezione al povero eremita.
Finalmente – pensò il Maligno – avrebbe smesso di piantare croci e biasciare orazioni.
Pellegrino si alzò dopo un po’ con fatica e, benché minuto e inerme, ricambiò subito
il ceffone con tutta la forza che aveva in animo e in corpo. Fu tanta la potenza impressa che il Diavolo volò sopra la valle del Serchio e sbatté la testa contro le Panie. Neppure le montagne ce la fecero a trattenerlo. L’orribile essere finì la corsa in mare, tra Viareggio e la Versilia. Nel punto esatto attraversato dal Diavolo, c’è una montagna delle Apuane che porta una grande apertura alla sua sommità. Lo schiaffo di San Pellegrino ha dato origine al Monte Forato.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- AA.VV., Abitare la memoria. Turismo in Alta Versilia, Lucca, Comunità Montana, 2007.
- Giannelli, Giorgio Almanacco Versiliese, Edizioni Versilia Oggi, 2001, vol. 1 (vedi voci “Cardoso”, “Chiese e oratori”)
- Paolicchi Costantino, Cardoso. Una comunità millenaria alla ricerca del proprio futuro, BCC, 1998.